CSA Officina Rebelde

Via Coppola 6, 95131, Catania

03-08-2023

El sur resiste. Sicilia Mexico. Assemblea Internazionale in Sicilia 3,4 e 5 Settembre 2023

Comunicato in versione PDF

Dalle terre di Oaxaca nel Sud del Messico, Abya Yala, a Las Islas Siciliane, pianeta Terra: le comunità indigene di Oaxaca, in Messico, inviano un sincero messaggio di solidarietà alle comunità di tutto il mondo ed esprimono gioia nel sapere che ci sono persone e popoli che resistono e lottano per la vita, la libertà e la giustizia.

I popoli indigeni di Oaxaca sono anticapitalisti per natura, apprezzano i saperi collettivi, rifiutano l'individualismo e lo sfruttamento della Terra. Si ribellano all’espropriazione territoriale e culturale, praticano l’autogoverno ed agiscono in difesa della natura e delle risorse comuni e per questo sono un ostacolo al programma di sviluppo del governo messicano e delle potenze coloniali nei territori che abitano.

Alla luce delle sfide che si preparano ad affrontare, chiedono alleanze rafforzate con le lotte in tutto il mondo ed invitano ad unirsi contro l'oppressione globale e per proteggere la terra che appartiene a tutti e tutte.

Una loro delegazione si sta mettendo in viaggio verso l’Europa e il Mediterraneo e farà tappa in Sicilia il 3 - 4 - 5 settembre, di ritorno dal Climate Justice Camp in Libano.

È l’occasione per le comunità, reti, organizzazioni e collettivi siciliani di incontrarli ed un invito a collaborare e sostenere l’iniziativa che li ospiterà. L’obiettivo è di riconnetterci e scambiare le nostre esperienze e i nostri sentire nelle forme organizzative e di resistenza che animiamo, celebrando il potere dell’agire collettivo.

Questa occasione richiede la forza e l'impegno di tutti i partecipanti, proprio come una nave fa affidamento sulla dedizione del suo equipaggio. Cerchiamo di tracciare un percorso verso soluzioni sostenibili e scopi condivisi.

Provvederemo alla creazione di due gruppi telegram per coordinamento e informazione. Per contribuire alla fase organizzativa e partecipare contatta la nostra pagina (Terra Insumisa Alcamo).

LA SITUAZIONE IN MESSICO: CORRIDOIO INTEROCEANICO

Layú bee

Le nostre nonne e i nostri nonni furono i primi a camminare per queste terre, conobbero i sui sentieri, alberi, piante, tracciarono rotte e si incontrarono tra popoli differenti e a volte nemici; a volte condividendo il fare della terra, altre come fratelli o come famiglia. Da loro abbiamo imparato che ciò che lo abita non è solamente natura e che Layú bee è strapieno di altri esseri che si incrociano di volta in volta sui sentieri, nella milpa (forma di permacultura tradizionale di mais, fagioli, zucca, peperoncini ed altro), nelle grotte, nell’acqua, nel mare, per rendere presente la loro voce: abbiamo quindi imparato ad ascoltare e a scoprire la forma intima di coloro cui siamo collegati, anche se i nostri popoli sono distinti, e a capire che ciò che succede in un luogo ne colpisce irrimediabilmente altri.

Layú bee (“terra stretta”) in lingua diidxazá indica la regione conosciuta come Istmo di Tehuantepec, che si trova nell’estremo oriente dello stato di Oaxaca e al sud di Veracruz, raggiungendo verso oriente alcune porzioni del Chiapas e di Tabasco. Layú bee è, come dice il suo nome, la zona più stretta tra i mari del Golfo del Messico e dell’Oceano Pacifico, separati da una lingua di terra di 300 km, che nel tempo si è deteriorata a causa dello sfruttamento dei giacimenti petroliferi e di zolfo, dell’aumento della capacità di raffinazione del greggio nelle sue due coste, dell’installazione di grandi complessi petrolchimici e la messa in opera di un complesso sistema di trasporti, gasdotti e oleodotti, con la crescita di zone urbane e del corridoio industriale Coatzacoalcos-Minatitlán.

A questo si sono sommati i sistemi di trasporto, terrestri e marittimi, di merci pesanti per collegare le regioni petrolifere da Coatzacoalcos fino a Salina Cruz, collegate a loro volta con le regioni petrolifere del nord del Chiapas, di Tabasco e Campeche; inoltre l’allevamento estensivo concentrato nel sud di Veracruz e gran parte di Tabasco; l’espansione dell’agricoltura intensiva specializzata e di piantagioni forestali a scopo commerciale, l’uso indiscriminato di agrochimici e fertilizzanti sintetici, e lo sfruttamento dell’industria del legno. Sono stati devastati decine di migliaia di ettari di foresta tropicale umida e più dell’80% degli ecosistemi delle zone umide del delta del fiume Coatzacoalcos, a cui si aggiunge l’inquinamento dell’aria, del suolo e, soprattutto, delle falde acquifere dovuti alle raffinerie e all’uso industriale del suolo. Lo stesso succede al fiume Tonalá, nella laguna dell’Ostión e nelle acque costiere dell’Istmo Nord, che ricevono forti scariche di batteri e microbi dovuti alle acque nere di uso umano, agli idrocarburi e ai metalli pesanti.

La nostra diversità di ecoregioni non è solamente parte di un paesaggio agonizzante. Layú bee è anche vita, sono storie, racconti, miti e leggende; sono parole che camminano e passi che conversano. Layú bee lo costituiscono radici storiche profonde, siamo i mokaya (persone di mais) che da 3600 anni vivono qui e che oggi si chiamano angpøn (zoques), ayuujk (mixes) e tannundajïïyi (popolucas).

INCONTRO IN SICILIA

Supponiamo che sia possibile scegliere il modo di guardare. Supponiamo di poterci liberare, anche per un attimo, dalla tirannia delle forme comunicative moderne che impongono non solo cosa guardare e di cosa parlare, ma anche come guardare e come parlare. Supponiamo di guardare in alto: dal più vicino, al locale fino al globale. È un vero caso, un gran disordine. Un essere umano non è un’applicazione digitale, che rapidamente, guarda, classifica, gerarchizza, giudica e sanziona. Potrebbe essere, è un’ipotesi, che guardare e giudicare non siano la stessa cosa. Quindi tu non solo scegli, ma decidi. Cambiare la domanda da “questo è male o bene?”, a “cos’è questo?”. E da lì al “Questo è male – o bene – perché lo dico io”.

Decidiamo di guardare i popoli originari del Messico.

Cosa vogliono, per cosa lottano? Perché hanno lasciato la loro terra e hanno deciso di raggiungere suoli e cieli che hanno un’altra lingua, un’altra cultura, altre leggi, un altro modo di vivere? Forse ti risponderann con una sola parola: guerra. O forse ti spiegheranno in dettaglio cosa significa questa parola nella loro realtà.

E si scopre che le stesse persone della centrale termoelettrica, sono le stesse del Treno chiamato “Maya”, le stesse del “corridoio transismico”, le stesse delle dighe, delle miniere a cielo aperto e delle centrali elettriche, le stesse che chiudono le frontiere per fermare la migrazione causata dalle guerre che loro stessi alimentano, le stesse che perseguitano i mapuche, le stesse che massacrano i curdi, le stesse che distruggono la Palestina, le stesse che sparano agli afroamericani, le stesse che sfruttano i lavoratori in ogni angolo del pianeta, le stesse che coltivano ed esaltano la violenza di genere, le stesse che prostituiscono bambini, le stesse che ti spiano per scoprire cosa ti piace e te lo vendono (e se non ti piace, fanno in modo che ti piaccia) le stesse che distruggono la natura.

Gli stessi che vogliono farti credere, a te, agli altri, a noi, che la responsabilità di questo crimine globale e in atto è delle nazioni, dei credo religiosi, della resistenza al progresso, dei conservatori, delle lingue, delle storie, dei modi. Là, in Messico, si sintetizza l’attuale scontro in tutto il mondo: denaro contro vita. E in questo scontro, in questa guerra, nessuna persona onesta dovrebbe essere neutrale: o con i soldi, o con la vita. Quindi, potremmo concludere, la lotta per la vita non è un’ossessione tra i popoli indigeni. È piuttosto una vocazione collettiva e non dimentichiamo che perdono e giustizia non sono la stessa cosa.

Quando per la prima volta i popoli indigeni decisero di far visita ai cinque continenti il Sub Galeano ha detto “siete matti, non abbiamo una barca” e Maxo ha risposto: “ne faremo una”. E subito hanno iniziato a fare proposte.

Oggi questo viaggio si ripete e racconta la stessa storia di perseveranza e ricerca di soluzioni. Proprio come Maxo ha esclamato: "Hai bisogno di una corda", anche noi riconosciamo l'importanza di trovare gli strumenti e le risorse giuste per superare le sfide. In questo mondo interconnesso, è imperativo riunirci per navigare nelle acque tumultuose che affrontiamo.

In un fiume con le correnti che vorticano e si scontrano, realtà diverse convergono. I resti di una zattera frammentata, che simboleggiano sforzi frammentati, che galleggiano senza meta nel fango rossastro delle rive del fiume. Tuttavia, di fronte alle avversità, è emersa la speranza. Le corde erano legate, collegando diversi gruppi, consentendo il controllo collettivo del percorso in mezzo a un fiume che sembrava indifferente ai loro tentativi.

Questo racconto è una metafora delle nostre lotte condivise contro le forze che minacciano i nostri territori. I megaprogetti incombono sulle nostre terre, portando devastazione, saccheggio ed espropriazione. L'urgenza riempie l'aria, mentre l'orologio del giudizio finale continua a ticchettare e le conseguenze della crisi climatica risuonano nei nostri corpi e territori.

In un mondo in cui le divisioni spesso mettono in ombra i nostri punti in comune, ricordiamoci che le vene che ci uniscono con gli altri mondi sono più profonde delle crepe che ci dividono. Attraverso l’incontro e la collaborazione, abbiamo il potere di attuare un cambiamento positivo per un futuro che salvaguardi la nostra terra, i nostri territori e il benessere di tutti e tutte.

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