CSA Officina Rebelde

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07-03-2021

Il dopo che vorremmo iniziasse da oggi: diritti e libertà durante la pandemia

“Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi” scriveva Giuseppe Tomasi di Lampedusa nell’attualissimo Gattopardo che narra le vicende e le trasformazioni della società in Sicilia durante il passaggio dal regime borbonico al regno d’Italia.

E così ora durante questa pandemia di Covid-19 ci troviamo a subire le incompetenze e i voltafaccia del governo e delle opposizioni che tutto cambiano e tutto lasciano com’è. (compreso Draghi)

Via allo shopping di Natale, comprate che i soldi muovono l’economia!

State a casa, lo shopping rovinerà le cene in famiglia!

Per colpa di chi è uscito quando si poteva uscire ora stiamo tutti a casa!

Oggi verdi, tra una settimana arancioni, rossi e ancora…uno due…tre…strega mangiacolori!

E dunque come collettivo politico durante quest’anno di “emergenza” sanitaria, che dopo un anno non è più emergenza ma un problema strutturale, siamo arrivati a fare delle riflessioni.

Se è vero, da una parte, che sin da subito siamo stati critici nei confronti di un lockdown nazionale, dall’altra standoci dentro ne abbiamo potuto vedere le falle e gli strascichi che ci stiamo portando addosso.

La sanità è rimasta pressochè invariata e la prevenzione è totalmente affidata alla "responsabilità" individuale scatenando la caccia alle streghe per i "trasgressori". Nell’estate 2020 molti padiglioni Covid-19 sono sati smantellati per esserci poi ritrovati a ottobre in una prevedibilissima seconda ondata. Ad oggi i contagi e i focolai negli ospedali continuano a persistere, come se dall’anno scorso non avessimo imparato nulla sulla sicurezza sanitaria e sui dispositivi di protezione individuale e collettiva.

E mentre sembra esserci preoccupazione esclusivamente per il contagio da Covid-19 continuiamo ad ammalarci di altro o a non ricevere cure adegute per altre patologie altrettanto gravi, vittime di un sistema che controlla e indirizza la ricerca scientifica verso le logiche del profitto e non della cura.

“In Italia, secondo i dati ufficiali forniti dalla protezione civile, abbiamo avuto circa tre milioni di casi (2.976.274) con 98.635 decessi, in stragrande maggioranza appartenenti alla popolazione anziana (l'età media dei deceduti è di circa 80 anni) e afflitta da altre e varie patologie. Rispetto al grande numero degli infetti non si è avuto, in Italia, un solo decesso al di sotto dei 40 anni. L'impatto della pandemia è confermato anche dai dati Istat sui decessi complessivi del 2020. In alcune zone del Nord Italia, quelle dove la pandemia si è espressa con maggior violenza, si è avuto un numero di decessi totali, rispetto a quelli del 2019, percentualmente maggiore per tutto l'anno, anche nella fase di calo della pandemia. In alcuni mesi di picco gli uomini e le donne nelle fasce di età dai 65 anni in su hanno avuto un incremento del tasso di decesso che è oscillato dal 40% al 60%. Con un numero di morti che si aggira sui 1500 per milione l'Italia è sesta nella classifica mondiale (dopo San Marino, Belgio, Slovenia, Repubblica Ceca ed Inghilterra) dei paesi che hanno subito maggior numero di decessi in rapporto alla popolazione. Segno che misure generali e non basate su cura e prevenzione, come il lockdown, non sono risultate efficaci nel limitare i danni”

Fonte Monitoraggio indipendente GIMBE

Terrorizzati e tenuti in ostaggio dalle scelte sempre più repressive e sempre meno sanitarie siamo rimasti in un'impasse dal quale diventa difficile uscire non prendendo parola sulle restrizioni alle libertà politiche e personali che quasi non sono state messe in discussione da marzo 2020. Anzi, la direzione è stata proprio la colpevolizzazione di chi non ha rinunciato a fare iniziative in piazza e chi non ha rinunciato alla propria socialità quando in vero siamo stati sfruttati e strumentalizzati in base alle richieste del mercato del momento (le discoteche in estate, lo shopping a Natale). La propaganda di Stato di cui siamo vittime sembra dar voce solo alle fonti che vanno ad alimentare lo stato delle cose.

Coi bisogni che andassero oltre l’essere dei consumatori dobbiamo ancora fare i conti.

In molte piazze del mondo, pensiamo all’Argentina che ha conquistato il diritto all’aborto, alla Polonia dove invece è stato negato, agli Usa che con i Black Lives Matter non si sono fermati e molte altre ancora si è rivendicata non solo la cura “sanitaria” della collettività ma anche quella nei confronti di una vita degna. Nel nostro paese siamo ancora bloccati in una polarizzazione tossica, tra chi reclama lockdown severi, repressione statale e annullamento della socialità e dei diritti politici, e chi invece si presta ad aperture sfrenate per tutelare gli interessi di Confindustria che vede il popolo solo come un’insieme di fantocci da spremere per il profitto di pochi.

Noi vogliamo dire che non solo una terza via è possibile ma soprattutto necessaria.

Pretendere e immaginare la cura per la collettività non va in contrasto con il pretendere e immaginare nuove forme di socialità, di diritti politici, di accesso alla cultura ma anzi è per noi parte integrante del processo.

Nel dibattito collettivo sembra essere sparita la questione del coprifuoco, misura prettamente militare che nulla ha a che fare con la prevenzione anti-contagio che difatto limitando gli orari in cui è possibile godere del proprio tempo libero fa si che un maggior numero di persone, soprattutto studenti e lavoratori, si trovi negli stessi spazi al medesimo orario anzichè distribuirsi spontaneamente secondo le necessità di ognuno.

E dunque lo scenario che si prospetta è : lavora, torna a casa, chiuditi in solitudine davanti a Google Meets o alle dirette FB e non protestare se perdi il lavoro, se tuo marito ti picchia, se lotti contro la repressione e l’oppressione statale. E dulcis in fundo sentiti in colpa se abbracci un amico o vai a cena da un parente.

Divide et impera “Dividi e conquista” diceva un vecchio motto latino.

Ci sentiamo di affermare che è giunto il momento di uscire dall'isolamento per riappropiarci dei nostri spazi sia individuali che dei gruppi di movimento che operano dal basso.

Decostruiamo la contrapposizione che è al centro della retorica dei governi e dei mass media tra personale e politico e ribadiamo che la libertà non è mai un bene superfluo nè dev'essere un privilegio borghese.

A pagare il prezzo dell'isolamento sono proprio i precari e le precarie che lavorano in nero e che vedendo messa a rischio la loro sopravvivenza sono oggi alla mercè di qualunque ricatto economico e senza tutele sanitarie.

Rifiutiamo le logiche dell'emergenza per investire le nostre risorse,seppur dal basso, per mettere in atto pratiche politiche in grado di costruire una società diversa in prospettiva lungimirante.